Diciamo la verità: siamo abituati alle notizie provenienti dal pianeta rosso al punto da farlo apparire un’agevole meta scientifica, invero - in oltre mezzo secolo - la metà delle sonde americane, russe ed europee ha fallito l’obiettivo, ma la percentuale di successo nell’ultimo anno è in crescita esponenziale (tre lanci con 100%). Per i dettagli si possono rileggere i nostri precedenti approfondimenti dedicati all’esplorazione marziana nel secolo scorso e nei primi anni del decennio.
La grande svolta scientifica, voluta dalla NASA per garantire maggiore flessibilità operativa in superficie e programmare in situ le attività di ricerca, avvenne con la progettazione, lo sviluppo e la messa in opera di veicoli robotici in grado di spostarsi autonomamente sul suolo, garantendo un raggio di azione maggiore rispetto al punto di atterraggio. Già nel 1971 i russi portarono due piccoli rover di 5 kg a bordo delle missioni Mars 2 e Mars 3, ma entrambe non furono coronate da successo e si dovette attendere il 4 luglio 1997, quando Sojourner, il primo rover americano, toccò il suolo a bordo della sonda Mars Pathfinder. La sonda era stata lanciata sette mesi prima e si posò nella regione Chryse Planitia: una sicura zona rocciosa, ben mappata dalle precedenti missioni esplorative orbitali, scelta anche per la grande varietà di rocce sedimentarie depositate da antiche inondazioni. Fu una missione dimostrativa, a basso costo con ottimi risultati: la tecnica di atterraggio tramite airbag, ridusse il peso complessivo della sonda, mentre il piccolo rover di 10 kg riuscì a percorrere 500 m durante gli 83 sol di funzionamento.
La NASA pertanto quadruplicò il budget per varare il programma MER (Mars Esploration Rover) e nell’estate del 2003 lanciò due robot mobili molto più grandi del precedente, noti al grande pubblico come Spirit & Opportunity: pesanti ciascuno 180 kg, progettati per riconoscimento geologico e analisi del suolo marziano, avevano una vita utile di qualche mese. Le sonde erano ciascuna a bordo di uno stadio di trasferimento simile al Pathfinder e al Viking, con un diametro di circa 2.6 m e un’altezza di 1.5 m; al suo interno il rover era protetto da uno scudo termico, mentre la discesa al suolo era controllata da un paracadute, un sistema di retrorazzi (verticali e orizzontali) e airbag in grado di attutire l’impatto.
Oltre ad esser dotati di un piccolo riscaldatore a radioisotopi, per stabilizzare la temperatura di funzionamento della strumentazione durante i rigori notturni, entrambi i rover erano dotati di sei ruote motrici, alimentati da pannelli solari da 140 kW, e avevano la dimensione di una piccola utlitaria, in grado di superare fino al 30% d’inclinazione.
Elencare i successi di questa doppia missione, esula dal contesto di questo articolo: ma bastano alcune cifre per comprenderne la maestosità. Spirit operò su Marte per più di sei anni, mentre Opportunity che lo seguiva a tre settimane di distanza, per quasi quindici anni terrestri. Furono più longevi di qualunque altro rover, esplorando crateri, valli, colline in siti diversi, offrendo una visione molto variegata del suolo marziano. Il cratere Gusev, dove si posò Spirit il 4 gennaio 2004, appare il letto di un fiume prosciugato con rocce basaltiche levigate dalla presenza di minerali trasportati dall’acqua. Durante la salita alle Columbia Hills, la morfologia del suolo cambiò confermando la presenza di elementi chimici comuni (fosforo, cloro, bromo) ma anche di olivina (un minerale a base di magnesio e ferro) indice di nessuna esposizione all'acqua in epoche recenti. A metà della sua missione, Spirit scoprì anche notevoli quantità di silice nel suolo, la cui origine è attribuibile ad antiche attività vulcaniche in ambiente idrotermale. Nel 2007 una serie di tempeste di sabbia ridusse drammaticamente l’energia a disposizione, ciò nonostante il rover funzionò per due anni ancora ma fino al 1 maggio 2009 quando rimase bloccato su una zona di sabbia soffice, che divenne il suo sito stazionario permanente. Il 25 maggio 2011 - dopo oltre 7.7 km di percorrenza e ben 2623 sol di operatività - la missione fu dichiarata conclusa.
Il 25 gennaio 2004, Opportunity si posò nel cratere Eagle e in totale percorse oltre 45 km nei suoi 5353 sol operativi (circa 8 anni marziani) diventando il rover più longevo nella storia dell’esplorazione spaziale. I suoi studi dettagliati sulle rocce hanno scoperto strutture “vugs” (buchi) che si generano nei cristalli quando sono esposti a fenomeni erosivi, “sfere di ematite” dal tipico colore blu, indice di una passata presenza di acqua liquida in superficie. Dopo l’uscita dal cratere di atterraggio, il rover fu inviato a esaminare il proprio scudo termico, dove scoprì anche una meteorite ferrosa (nominata Heat Shield Rock) e verso il cratere Victoria in cui scese nel 2008: dopo alcune vicissitudini per intense tempeste e insabbiamenti, il team riuscì a spostare il rover verso il cratere Endeavour, distante ben tre anni di cammino, dove giunse nel 2011, trovando rocce più antiche, argillose e geologicamente diverse dalle altre, al punto che la Nasa annunciò l’equivalente di un secondo sito di atterraggio. Utilizzando gli strumenti a bordo (microscopio, spettrometro e camere con filtri panoramici) si scoprirono rocce a base di gesso, a riprova di percolamenti liquidi antichi. Le analisi dettagliate hanno anche evidenziato un ph neutro per quest’acqua fossile, fornendo ulteriori spunti sulla sua potenziale idoneità alla vita. Il resto della vita operativa di Opportunity è trascorso nei pressi del cratere Endeavour: il 10 giugno 2018, una grossa tempesta di sabbia costrinse i tecnici a interrompere le attività scientifiche e minimizzare il consumo energetico: il rover andò in safety mode; ogni tentativo di riprenderne il controllo fallì e il 13 febbraio 2019, la missione fu dichiarata conclusa.
Alla fine del 2011, in occasione di un’idonea finestra di lancio, la NASA inviò verso Marte la sonda robotica Mars Science Laboratory (MSL) che il 6 agosto 2011, depositò nel cratere Gale, il rover Curiosity con l’obiettivo di studiare il clima, la geologia e la potenziale abitabilità del pianeta rosso, in vista di futuri avamposti umani (Il sito di atterraggio è il bacino di un antico lago marziano). Il rover, ancora più grande dei precedenti e dal peso di un’automobile, richiese un’innovativa tecnica di atterraggio tramite un’audace gru mobile (sky crane), in quanto i testati sistemi di airbag non erano in grado di supportare la massa totale dei dieci strumenti installati a bordo: tra essi spiccano diciassette camere a diverse lunghezza d’onda, un sistema di monitoraggio ambientale, spettrometri per lo studio di rocce e minerali, un braccio telescopico per la raccolta dei campioni, dosimetro, rivelatore di neutroni, tutti alimentati da un generatore con 5 kg di Plutonio-238 capace di produrre 110W elettrici e 2kW termici continuamente per almeno 14 anni (si consideri che la temperatura minima prevista può raggiungere -60°C nelle notti invernali marziane). Un vero e proprio laboratorio chimico mobile, in grado di lavorare nel visibile, IR e UV, integra le fotocamere telescopiche e analizza la composizione dei campioni rocciosi, che sono vaporizzati con un fascio laser. La presenza di tracce di acqua fossile, la concentrazione variabile di metano nell’atmosfera (fino a x20, di cui si ammette anche una plausibile origine geologica), la presenza di clorobezene e altri composti organici in alcuni campioni, il rilevamento di anomale concentrazione di idrogeno nel sottosuolo, permisero ai tecnici di dichiarare nel 2016 il successo della missione, avendo “già raggiunto l'obiettivo principale di determinare che la regione di atterraggio avesse offerto nel passato condizioni ambientali favorevoli per microrganismi, e che, Marte avendo trovato evidenze scientifiche di antichi fiumi e laghi, fonti di energia chimica e tutti gli ingredienti chimici necessari per la vita come la conosciamo, possa aver ospitato la vita”. Al momento della scrittura di questo articolo (6 giugno 2021), Curiosity ha trascorso 3.140 sol sul pianeta rosso, percorrendo oltre 25 km e si trova alle pendici del Monte Sharp (formato da antichi sedimenti stratificati di origine lacustre), sormontato in questa foto da insolite formazioni nuvolose di ghiaccio secco nell’alta atmosfera.
Nel precedente articolo abbiamo già evidenziato il successo ottenuto il 24 settembre 2014, quasi in contemporanea con l’arrivo della sonda americana Maven, dall’agenzia spaziale Indiana, che quarta al mondo, raggiunse - al primo tentativo - l’orbita marziana con la navicella Mangalyann: una missione a basso budget atta a dimostrare le capacità industriali del sub-continente indiano nella tecnologia dei viaggi interplanetari, con un carico utile scientifico di soli 15 kg, dove spiccano sensori per lo studio dell’atmosfera e delle particelle in sospensione, spettrometri e camere per la mappatura superficiale. La missione è tutt’ora in corso, avendo ancora combustibile a bordo per le manovre di correzione, su un orbita fortemente ellittica, che la porta fino a soli 420 km dal suolo ogni tre giorni. L’esperienza accumulata sarà utilizzata entro metà decennio per inviare in orbita un’altra sonda (Mars Orbiter Mission 2), maggiormente equipaggiata.
La Nasa continuò nel suo programma e la sonda Insight giunse a destinazione il 26 novembre 2018, posandosi con una manovra di frenata a paracadute/retrorazzi, in una regione equatoriale di origine vulcanica nominata Elysium Planitia. Questa sonda non prevedeva un rover mobile, avendo come obiettivo principale lo studio dell’interno di Marte. Una navicella di 360 kg, basata sull’architettura della precedente Phoenix, con numerosi strumenti progettati in Europa, in cui sono installati anche un sismografo, un sensore, un braccio estensibile in grado di perforare il suolo fino a 5 m oltre a sensori meteo, fotocamere, antenne e pannelli fotovoltaici per l’approvvigionamento energetico. In poche settimane di operatività fu segnalato il primo “martemoto”, testimonianza di un’attività sismica interna al pianeta. Il sistema di trapanazione purtroppo ha fallito l’obiettivo ed è riuscito a raggiungere solo il 10% della profondità, a causa della natura del suolo incontrato. Al momento, le attività scientifiche sono al minimo per venire incontro alla ridotta capacità di accumulo energetico, dovuto al lungo inverno marziano e alla polvere depositata sui pannelli, che si spera, sarà spazzata via dalle nuove condizioni meteo, attese con l’arrivo della primavera. La missione è confermata almeno fino a tutto il 2022. E’ stato di notevole interesse la tecnica utilizzata per controllare la telemetria a bordo e ritrasmettere il segnale di Insight sulla Terra, sia durante il viaggio che nelle fasi critiche d’inserimento orbitale e successive manovre di atterraggio. Due piccoli satelliti miniaturizzati (Mars Cube One A & B) sono stati lanciati come payload, insieme alla sonda principale e hanno viaggiato poi indipendentemente come ponte radio con il controllo missione.
Il 2021 si è aperto con un triplice squillo dal pianeta rosso (come da noi anticipato l’anno scorso in questo articolo): il 9 febbraio 2021 la sonda robotica Mars Hope degli Emirati Arabi, si è inserita in un’orbita alta di 55 ore, ad una quota media di 31000 km, da cui sta completando le previste attività scientifiche tramite spettrometri UV/IR e una camera ad alta risoluzione con una definizione di 8 km, il tutto alimentato da 1800 kW di pannelli solari. Ha le dimensioni di una piccola automobile con una massa complessiva di 1.300 kg e il propellente a bordo permetterà un’estensione della missione, permettendo lo studio dell’atmosfera marziana durante il susseguirsi delle stagioni.
Il giorno dopo (10 febbraio 2021) anche l’agenzia spaziale cinese annunciava l’arrivo a destinazione della Tianwen-1: una complessa sonda robotica lanciata sette mesi prima dal vettore Lunga Marcia V, che incorpora in una sola missione ben tre veicoli indipendenti. Un modulo orbitante, un veicolo di discesa e un rover da 240 kg (Zhurong) per spostamento al suolo che, il 14 maggio 2021, tramite una tradizionale manovra frenante con paracadute e retrorazzi è atterrato nell’emisfero sud nella zona Utopia Planitia, non molto distante dall’area visitata 45 anni prima dalla Viking 2. La missione è in corso, ma attualmente la condivisione dei dati scientifici è assai scarsa anche per scelte politiche e per le difficoltà di trasmissione dati con l’orbiter cinese, che staziona in una orbita di otto ore molto eccentrica (anche se l’europea Mars Express garantisce un ponte radio di back up). In ogni caso si prevede l’operatività della missione al suolo per almeno tre mesi tramite l’energia fornita da batterie e pannelli solari. La strumentazione è ricca, infatti in orbita ci sono camere ad alta risoluzione spaziale (fino a 2 m), magnetometro, spettrometro e radar, mentre a bordo del rover stazionano un geo-radar, in grado di analizzare il terreno fino a 100 m di profondità per la ricerca di ghiaccio, sensori ambientali, spettroscopio laser, al fine di studiare la topografia del sito, campionare l’atmosfera ed esaminare le caratteristiche chimico fisico delle rocce.
La foto allegata è stata scattata il 10 giugno 2021 da una fotocamera rilasciata dal rover Zhurong.
Infine il 18 febbraio 2021, con una spettacolare diretta mondiale e dopo un viaggio di 33 settimane, la Nasa ha coronato il successo della missione Mars 2020 depositando all’interno del cratere Jezero (foce di un antico bacino fluviale, ricco di perclorati, un composto chimico potenzialmente associabile ad attività biologiche fossili) il rover Perseverance con il drone Ingenuity. L’architettura di questo rover ricalca Curiosity, infatti con un’altezza di circa 3 m e un peso (sulla Terra) di oltre una tonnellata è alimentato anch’esso da un analogo termo-generatore nucleare.
La tecnica di discesa è stata ulteriormente perfezionata grazie a sistemi IA capaci di correggere il tempo di apertura del paracadute e di restringere al minimo le incertezze del punto di touch-down effettivo, confrontando le mappe memorizzate con le immagini direttamente acquisite durante la discesa in tempo reale (qui la fase della discesa: video). Una missione complessa e assai articolata, la cui durata minima è di un anno, da cui - visti i precedenti esempi di longevità - ci attendiamo molto di più: con sette strumenti principali, oltre a diciannove camere e microfoni, gli obiettivi spaziano dalla ricerca di tracce biologiche fossilizzate, allo studio dell’abitabilità nella zona di atterraggio, allo stoccaggio di campioni rocciosi (che saranno riportati a Terra da una futura missione congiunta ESA/NASA), alla produzione di ossigeno estratto dalla CO2 atmosferica (i primi esperimenti di aprile ne hanno prodotto qualche grammo) e alle prove di funzionamento per Ingenuity: un mini elicottero autonomo di 2 kg, in grado di volare per qualche minuto nella rarefatta atmosfera marziana, le cui competenze acquisite miglioreranno la progettazione di Dragonfly, una semovente missione robotica su Titano prevista per fine decennio.
Il braccio telescopico di Perseverance, lungo 2 metri è in grado di perforare il suolo con maggiore potenza rispetto a Curiosity; il rover è in grado di spostarsi fino a 200 m per sol e il suo percorso di viaggio è ancora in fase di analisi. Si prevede l’esplorazione dettagliata del bacino di atterraggio che 3 miliardi di anni fà ospitava un lago profondo 250 m, nelle cui rocce sedimentarie la comunità scientifica spera di osservare tracce di marcatori biologici.
Nei prossimi mesi le news dal pianeta rosso non mancheranno: al suolo abbiamo cinque robot (tre mobili e due statici) e un piccolo drone volante. In orbita altre nove sonde sono operative, tutte equipaggiate con una strumentazione moderna e tecnicamente all’avanguardia. Le sei agenzie spaziali oggi attive nei pressi di Marte (US, Russia, EU, Cina, UAE e India), hanno esteso i budget di spesa con l’obiettivo di prolungare le missioni in corso: alcune prevedono di inviare nuove sonde automatiche in occasione delle prossime finestre di lancio. L’anno prossimo infatti partirà il rover Rosalind Franklin dell’ESA, che si poserà su Marte nel mese di luglio 2023 con a bordo anche un sofisticato laboratorio di chimica organica; l’intenso programma di ricerca scientifica, il cui centro di controllo sarà a Torino per tutta la missione, durerà almeno otto mesi sul suolo marziano.
Al momento ci sono proposte assai interessanti per sonde robotiche in grado di riportare a Terra campioni di suolo entro fine decennio. Il primo viaggio umano è ancora lontano nel tempo, sebbene esista un certo consenso sul fatto che costituirà il prossimo traguardo dei voli con equipaggio e che la tecnologia per realizzarlo dovrà essere prima provata sulla Luna. Probabile che la prima visita umana sarà non prima di quindici/venti anni da oggi e consisterà in una missione orbitale a cui seguiranno, negli anni successivi atterraggi, ripartenze e l’installazione di una piccola base. L’elenco delle problematiche da risolvere è lungo e complesso: logistica, costi, durata del viaggio, esposizione alle radiazioni e alla bassa gravità, affidabilità e ridondanza dei vettori di andata e ritorno...
Su questo aspetto, al momento non ci resta che sognare: guardare i film di fantascienza o leggere qualche libro sull’esplorazione di Marte (si veda questo link) può essere un’ottima base di riflessione sull’argomento.