Lassù c’è un corpo celeste battezzato con il nome del dio romano della guerra, che ha da sempre calamitato l’attenzione dell’umanità, diventando nell’ultimo secolo l’immaginaria casa degli omini verdi tanto cari ai cultori di fantascienza. In questo periodo Marte è visibile prima dell’alba verso Est nel Capricorno formando un trittico con Giove e Saturno (nella foto Marte è il puntino sopra la Luna): anticipando ogni giorno di qualche minuto la sua levata, esso diventerà protagonista delle nostre notti estive e autunnali. In ottobre sarà visibile tutta la notte nella costellazione dei Pesci e il 6 del mese si troverà all’opposizione a 62.1 milioni di km brillando di magnitudine -2.6 con un diametro apparente di 23 secondi d’arco. Ricordiamo che il 27 agosto 2003 ci fu un’opposizione al perielio con una distanza fra i due pianeti di soli 56 milioni di km, record che resterà imbattuto per circa 60'000 anni.
In questo primo approfondimento, raccontiamo l’esplorazione del pianeta rosso attraverso le epiche avventure delle numerose sonde che lo hanno visitato nel corso del secolo scorso, riservandoci di proseguire la narrazione dei più recenti avvenimenti in una seconda parte che sarà pubblicata a breve.
Il quarto pianeta roccioso del sistema solare ha notevoli somiglianze con la Terra: l’inclinazione assiale di 25° sull’eclittica è responsabile di un ciclo stagionale simile al nostro (benchè ogni stagione duri 80 giorni di più). Il giorno solare (chiamato Sol), inteso come periodo che intercorre fra due culminazioni consecutive del Sole su un dato meridiano, risulta essere di 24h 39m 35s, leggermente più lungo della sua rotazione siderea. La temperatura media al suolo è di circa -60°C ma ha enormi escursioni termiche a causa dell’atmosfera rarefatta (6 mbar): in estate nell’emisfero Sud (quando Marte è al perielio), si possono raggiungere anche +30°C, rendendolo il solo corpo del sistema solare con temperature al suolo confrontabili a quelle terrestri; ma durante le gelidi notti invernali ai poli si raggiungono anche -140°C.
Quattro miliardi di anni or sono Marte assomigliava molto di più alla Terra: la densità della sua atmosfera era maggiore e si ritiene che la sua superficie ospitava acqua allo stato liquido. La ridotta dimensione del pianeta, risultante in una bassa gravità al suolo (0.4 g), non è stata in grado di trattenere questa atmosfera; nel corso degli eoni è evaporata lasciando ora solo CO2 (95%), N2 (3%) e tracce di argon, ossigeno, acqua. Oggi il suo aspetto è desertico, arido, freddo con valli, canyon, pianure e vulcani spenti: il monte Olimpus con 22.5 km di altezza è il più grande del sistema solare. La sua apparenza rossastra testimonia la presenza di acqua del passato: essendo privo di una magnetosfera, le radiazioni cosmiche e il vento solare hanno scisso le molecole d’acqua: il leggero idrogeno si è volatilizzato, mentre l’ossigeno ha ossidato il suolo, provocando il classico colore ruggine ben evidente all’osservazione visuale di Marte.
Quel che resta dell’acqua si trova perlopiù ghiacciato nel sottosuolo. Per questioni orbitali, la distanza fra Terra e Marte varia da un minimo di 55.7 milioni di km fino ad un max di 401 milioni di km, raggiungendo il valore minimo all’opposizione ogni 2 anni e 50 giorni, quando si aprono delle finestre di lancio che minimizzano i tempi di viaggio: nel 2014 partirono MAVEN e Mars Orbiter Mission, nel 2016 l’ExoMars TGO, nel 2018 Insight e quest’anno parte Mars 2020 (mentre Exomars è stata rinviata di 2 anni per l’epidemia di corona virus, si vede questo articolo: <ahref="https://www.osservatoriosormano.it/it/news/approfondimenti/l'astronautica+ai+tempi+del+covid19/38" target="blank">link). Fin dal 1925, W. Hohmann capì che il metodo più economico per spostare un corpo dall’orbita interna ad un’esterna è quello di metterlo in un’orbita ellittica tangente ai punti di partenza e di arrivo: in questo modo una sonda spaziale può giungere su Marte in un periodo minimo di 5 mesi.
L’esplorazione di Marte con veicoli automatici risale agli anni Sessanta, agli inizi dell’era spaziale, insieme alle prime missioni verso la Luna e Venere (vedi questo link) durante la guerra fredda fra Stati Uniti e Unione Sovietica: oggi anche EU, Giappone, India e Cina sono impegnate allo studio del pianeta rosso.
La storia dell’esplorazione sovietica di Marte costituisce una evidente manifestazione delle difficoltà che questa impresa comporta: le prime sonde lanciate nel 1960 neanche raggiunsero lo spazio mentre la Mars 1, due anni dopo, perse il contatto con la Terra durante il viaggio. Nel corso del decennio ci furono altri quattro tentativi falliti e solo nel dicembre 1971 la Mars 2 entrò nell’orbita di Marte e il suo lander (che tra l’altro esplose) fu il primo oggetto umano a impattare la superficie: l’orbiter inviò a Terra una grande mole di informazioni durante le 362 orbite nei quattro mesi di funzionamento. A distanza di una sola settimana la sonda Mars 3 (o meglio il suo lander) toccò con successo il suolo marziano tramite una perfetta manovra: ma rimase attivo per soli 14 secondi per un malfunzionamento mai risolto. Con una tenacia notevole, i sovietici inviarono due orbiter (Mars 4 e 5) e altre due moduli di atteraggio (Mars 6 e 7) nel 1973 con poco successo (solo Mars 5 inviò pochi dati dalla sua orbita). Dopo uno stallo di quindici anni, nel 1988 altri due tentativi con le sonde Phobos 1 e 2 destinate a studiare anche le lune di Marte: solo la seconda raggiunse correttamente il pianeta rosso e si inserì in orbita ma la missione si interruppe bruscamente il 27 marzo 1989 per motivi ignoti. Fu l’ultima sonda spaziale dell’Unione Sovietica: dopo il crollo dei regimi socialisti, la Russia ha provato a mandare su Marte la Mars 96 (1996) e la sonda Phobos-Grunt (2011) che però non lasciarono nemmeno la Terra!
L’invio di sonde sovietiche, stimolò una rapida risposta da parte statunitense con il programma Mariner che fu varato nel 1960 con l’obiettivo di esplorare i pianeti vicini: ben sei sonde partirono fra il 1964 e il 1971 verso Marte (Mariner 3, 4, 6, 7 , 8 e 9): durante i lanci se ne smarrirono due (Mariner 3 e 8), mentre la Mariner 4 raggiunse l’obiettivo e il 15 luglio 1965 fornì le prime immagini ravvicinate di un altro pianeta che si dimostrò arido, inattivo e inadatto alla vita, smorzando in parte l’entusiasmo mediatico e scientifico verso il pianeta rosso. Notevole successo ebbe la missione Mariner 9 che raggiunse l’orbita di Marte a fine 1971 insieme alle due sonde russe Mars 2 e Mars 3: per la prima volta le due superpotenze spaziali in contemporanea avevano sonde operative a 160 milioni di km. Il formidabile lavoro della Mariner 9, che fotografò enormi tempeste di sabbia rivelando la presenza di vulcani e canyon sulla superficie marziana, permise di confezionare una mappa topografica e di gettare le basi per le successive missioni Viking: nel 1976 i lander delle Viking 1 e Viking 2 si posarono con successo sulla superficie di Marte alla ricerca della vita. Gli orbiter fotografarono il pianeta facendo da ponte radio con i loro lander che si posarono su Chryse Planitia e Utopia Planitia rispettivamente il 20 luglio e il 3 settembre del 1976, fornendo le prime immagini a colori dal suolo (vedi foto): fra i numerosi esperimenti scientifici, essi raccolsero campioni di terreno per rinvenire possibile attività biologica. I risultati dei test effettuati a bordo furono negativi, a parte uno positivo: in sintesi, il campione del suolo fu mescolato con l’isotopo di carbonio (C14) radioattivo, in modo da rivelare eventuali forme di vita che, metabolizzandolo, avrebbero rilasciato anidride carbonica e metano anch’essi radioattivi (perché formati a partire dagli atomi di carbonio usato come tracciante. I risultati ottenuti furono contrastanti e poi anche ripetuti a Terra: finora non si è potuto stabilire se la reazione avesse un’origine biologica e si ritiene che sia il frutto di reazioni chimiche inorganiche. I lander rimasero operativi in superficie per 2245 e 1281 sol grazie all’utlizzo di generatori termoelettirci alimentati al Plutonio-238 in grado di produrre energia e calore continuativamente: di notte le temperature scendevano fino a -120°C per risalire a -20°C di giorno.
A metà degli anni ’90 del secolo scorso la NASA decise di intensificare l’esplorazione del pianeta rosso e il 12 settembre 1997 la sonda Mars Global Surveyor entrò in orbita e ne fotografò dettagliatamente la superficie esaminando le caratteristiche atmosferiche. Il suo lavoro, che si protrasse per quasi nove anni, risultò essenziale per la discesa delle future sonde, identificando i siti di atterraggio più idonei; questa missione fu assai utile per lo studio della meteorologia marziana nell’arco di diverse stagioni, monitorando le tempeste di polvere, l’andamento delle calotte polari e il basso campo magnetico del pianeta; il tutto fu effettuato da un’orbita stabile molto bassa (circa 450 km di altitudine) che permise foto di altissima definizione (come nell’esempio allegato che mostra la caldera di un vecchio vulcano estinto).
Il 4 luglio 1997 (data non casuale) la sonda Mars Pathfinder atterrò in un’antica pianura fluviale (Ares Vallis) mediante airbags che si gonfiarono poco prima dell’impatto a 350 m di altezza, facendola rimbalzare al suolo almeno 15 volte prima dello stop definitivo: i sensori di bordo segnalarono una decelerazione di 15 g che non danneggiò la sonda e il suo simpatico robot mobile (Sojourney) che fu lasciato libero di “scorrazzare” per 100 m nei dintorni durante gli 83 sol di operatività. Una missione che ebbe un grande successo: le oltre 16'000 immagini dall’orbiter e 500 dal suolo suggerirono agli scienziati che in qualche momento della sua storia evolutiva il pianeta era più caldo con presenza di acqua liquida in superficie.
L’esplorazione di Marte del secolo scorso si concluse con tre insuccessi (2 americani e uno giapponese) a conferma di quanto fosse arduo raggiungere il pianeta rosso: la sonda Nozomi fu lanciata nel 1998 ma fallì l’inserimento orbitale. Clamoroso fu il fiasco della Mars Climate Orbiter, che dopo aver raggiunto Marte e acceso il motore principale per stabilizzare l’orbita, si distrusse a causa di un errore di navigazione derivato dalla mancata conversione tra unità di misura del sistema imperiale e il sistema metrico (in pratica i dati fecero inserire la sonda in orbita a soli 57 km dal suolo, invece dei 150 km previsti e l’atmosfera più densa la distrusse per attrito). Anche della gemella Mars Polar Lander, che sarebbe dovuta atterrare nella zona polare Sud del pianeta vicino alla calotta di ghiaccio secco a fine 1999, si persero le comunicazioni durante la manovra di atterraggio per un errore del software di bordo che spense i retrorazzi in anticipo rispetto al previsto.
A partire dal 1960 del secolo scorso il 60% delle missioni lanciate verso Marte hanno fallito (18 su 30) avendo mancato l’inserimento orbitale o la manovra di atterraggio; cionostante le due superpotenze si accanirono nell’impresa coronata dai successi americani delle sonde Viking e Pathfinder. Il palcoscenico è mutato negli anni 2000, durante i quali undici missioni hanno raggiunto Marte, con un solo fallimento (o meglio uno e mezzo, sui cui torneremo in un altro approfondimento): oltre alla NASA anche le agenzie spaziali Europea e Indiana hanno oggi (Aprile 2020) sonde operative in orbita, mentre al suolo Curiosity e Insight sono al lavoro, in attesa delle missioni che saranno lanciate quest’anno oppure fra 26 mesi quando si aprirà la prossima finestra di lancio.