Osservatorio Astronomico Sormano - Sormano (CO) Italy

Se il decennio scorso sarà ricordato per le gloriose missioni spaziali che hanno permesso all’umanità l’invio di sonde automatiche aldilà di Plutone (vedi New Horizon), su una cometa (vedi Rosetta), attorno a Giove (Juno) e Saturno (Cassini), di scendere con mezzi semoventi su Marte (Curiosity) e sulla Luna (Change'e),... gli anni venti del millennio si sono aperti con audaci missioni esplorative sul pianeta rosso  e su numerose altre mete del sistema solare (Solar Parker e Solar Orbiter verso il Sole, Bepi Colombo su Mercurio, Lucy e Dart verso alcuni asteroidi.. ) su cui torneremo nel corso dei prossimi approfondimenti. Le altissime aspettative saranno inoltre coronate da nuove sonde verso Venere e le lune di Giove e dal ritorno sulla Luna con equipaggio umano tramite il programma Artemis della Nasa (il cui primo lancio di prova è previsto quest’estate): l’impeccabile posizionamento in orbita del nuovo telescopio spaziale, che da pochi giorni ha iniziato la sua campagna scientifica, sembra quindi un ottimo viatico.

I media hanno enfatizzato le prime spettacolari immagini del James Webb Space Telescope (JWST) cogliendo gli ignari spettatori alla sprovvista mentre astronomi e astrofili attendevano da decenni questo momento. Infatti il successore dell’Hubble Space Telescope (HST) era stato pensato in parallelo al suo lancio a inizio degli anni ’90 dello scorso secolo: la sfida tecnologica consisteva nello sviluppo di un telescopio all’infrarosso a grande apertura. Le radiazioni infrarosse (IR) sono parzialmente bloccate dall’atmosfera terrestre: i quattro strumenti a bordo (MIRI per il medio IR, NIRCam. NIRSPec e FGS/NIRISS per il vicino IR) sono in grado di coprire lunghezze d’onda dai 0.7 micron ai 29 micron. La luce visibile e le microonde hanno lunghezze d’onda rispettivamente inferiori e superiori. 

Lo studio delle galassie più remote si effettua nell’IR: a causa dell’espansione dell’universo la luce emessa dagli oggetti più lontani subisce lo spostamento verso il rosso “redshift” per effetto Doppler (lo stesso fenomeno che in acustica altera la frequenza dei suoni quando la sorgente è in moto rispetto all’osservatore).
Circa 380.000 anni dopo il big-bang, l’universo divenne trasparente alla radiazione luminosa quando il plasma originario scese sotto la temperatura di 3.300K: allora i nuclei atomici poterono catturare gli elettroni liberi formando i primi atomi d’idrogeno, elio e tracce di litio. E’ l’epoca della ricombinazione, l’universo perde il proprio stato ionizzato e diventa neutro (mentre oggi è invece quasi totalmente ionizzato): da allora i fotoni furono liberi di espandersi in linea retta e li ritroviamo oggi come radiazione cosmica di fondo nelle microonde, avendo subito un redshift pari a 1.100 unità. In quel momento iniziò un’epoca oscura per l’universo (Dark Age Cosmologica), che era troppo caldo per formare qualsiasi struttura stabile: l’espansione correva inarrestabile e la temperatura media dovette scendere di due ordini di grandezza prima che da qualche parte la gravità riuscisse a compattare della materia, la quale, per accumulazioni successive durate milioni di anni, formò le prime stelle. Queste sono le stelle di Popolazione III, la cui osservazione finora è sfuggita ai nostri strumenti, che però possono essere alla portata del JWST: prive di metalli (che in astronomia significa tutto ciò non è idrogeno o elio), al termine della loro esistenza hanno disperso nel mezzo interstellare gli elementi chimici da esse prodotti nelle ultime fasi della loro evoluzione. Tali elementi sono poi confluiti nelle nubi di gas interstellari da cui si sono formate le stelle di generazioni successive. Le radiazioni emesse dalla Popolazione III hanno reionizzato il gas interstellare a partire da circa 700 milioni di anni dopo il big bang. Le osservazioni del JWST andranno a sommarsi a quelle del HST, contribuendo a chiarire queste fasi evolutive dell’universo.
La prima foto scientifica rilasciata dal team del JWST è quindi lampante: una zona del cielo australe grande come un chicco di riso, inquadra SMACS 0723 un ammasso di galassie situato a 4,5 miliardi di anni luce nel Pesce Volante. Altre migliaia di galassie lontanissime si mostrano dietro, deformate per effetto di lente gravitazionale dalla sua massa. Anche l’HST aveva ripreso questa regione di cielo in due settimane di posa con ottimi risultati ma neanche paragonabili all’incredibile immagine della stessa regione ottenuta nell’infrarosso a 5 micron dalla NIRCam (Near Infrared Camera) del JWST con 12,5 ore di posa. L’analisi spettrale delle lontane galassie ne indica un’età tra 11 e 13,1 miliardi di anni, quindi prossimi al periodo della reionizzazione dell’universo. 




La regione dell’IR è inoltre di fondamentale importanza anche per lo studio degli oggetti più vicini: le nubi galattiche dove nascono nuove stelle e pianeti contengono polvere cosmica che impedisce il passaggio della luce visibile impedendo di osservare direttamente cosa avviene al loro interno. L’infrarosso, avendo una frequenza inferiore passa attraverso la polvere, svelando i segreti nascosti. 



La NASA ha rilasciato il 12 luglio 2022, quattro fotografie a elevato contenuto scientifico che mostrano le capacità osservative del JWST: una di esse riprende la nebulosa NGC 3324, a 7,600 al nella Carena, dove la luce infrarossa permette di percepire i venti stellari delle giovani stelle che stanno nascendo: per avere un’idea delle dimensioni riprese nella nebulosa, si consideri che le strutture a “picco” più alte raggiungono dimensioni fino a sette anni luce.
Anche la foto della nebulosa planetaria NGC 3132, a 2,500 al nella Vela, mostra dettagli finora invisibile, grazie alla capacità osservativa anche nel medio IR (camera MIRI): si notano la forma binaria della stella centrale e numerosi filamenti gassosi espulsi durante le sue fasi evolutive finali. 



Le lunghezze d’onda in cui opera il JWST, e in particolare l’IR sopra i 2 micron, sono al momento inarrivabili per altri osservatori nel mondo e nello spazio; nel passato ci furono altri telescopi spaziali sensibili a queste frequenze ma con diametro e potere risolutivo inferiore, per esempio, lo Spitzer Space Telescope aveva un’apertura di 85 cm e anche l’HST con 2.4 m di diametro oggi lavora nel vicino IR, ma raccoglie solo il 37% della luce del JWST che, una volta dispiegato, ha una superficie utile di 25 m2.

Uno degli obiettivi principali del JWST è anche l’osservazione degli esopianeti che transitano davanti alla loro stella lungo la nostra linea ottica: i raggi luminosi, attraversando l’atmosfera del pianeta, interagiscono con le molecole e gli atomi che la costituiscono e portano preziose informazioni. Analizzandone gli spettri sarà dunque possibile scoprire la presenza di interessanti marcatori come acqua, metano, anidride carbonica e magari anche biosignature come ossigeno libero e molecole organiche. L’operazione non è semplice perchè la riduzione di luminosità della stella è infinitesima, ma il confronto spettrale con e senza transito, fa emergere il segnale utile.  



Nella costellazione australe Fenice, a 1.150 al c’è una stella di tipo solare che possiede un pianeta gassoso che gli orbita attorno ogni 82 ore a soli 7 milioni di km: WAPS-96b è uno dei 5.000 esopianeti confermati della Via Lattea e, con una temperatura superficiale di circa 540 °C, si pensava privo di atmosfera o acqua. Invece l’analisi spettare effettuata dal NIRISS del JWST nella banda 0,5 – 2,5 micron, mostra tutte le bande fondamentali dell’acqua con indicazioni di foschia e nuvole. Lo spettro di WASP-96b non è solo lo spettro di trasmissione nel vicino IR più dettagliato dell'atmosfera di un esopianeta catturato finora, ma copre anche una gamma straordinariamente ampia di lunghezze d'onda, particolarmente sensibile all'acqua e ad altre molecole chiave come ossigeno, metano e anidride carbonica, che non sono evidenti nello spettro WASP-96b ma che dovrebbero essere rilevabili in altri esopianeti pianificati per l'osservazione del JWST.

L’ultima immagine riguarda il famoso quintetto di Stephan (NGC 7320) in Pegaso, che fu il primo ammasso di galassie interagenti scoperto del 1877 da Eduard Stephan all’Osservatorio di Marsiglia. L’area inquadrata è 1/5 del diametro lunare: quattro galassie (NGC 7317, NGC 7318A, NGC 7318B e NGC 7319) si trovano a 290 milioni di al, mentre la quinta (NGC 7320, a sinistra nella foto) è prospetticamente 70 volte più vicina (40 milioni di al). Il sistema è sconvolto dalle interazioni fra le componenti del gruppo che causano imponenti deformazioni mareali con ampie code di gas e polveri oltre a enormi zone di formazione stellare. In NGC 7320, il JWST è stato in grado di risolvere singole stelle e persino il nucleo luminoso della galassia: nella stessa foto si rivela un vasto mare di migliaia di lontane galassie sullo sfondo che ricordano i Deep Fields dello HST. Lo studio di queste galassie vicine fornisce agli astronomi la possibilità di assistere alla fusione e alle interazioni tra le galassie che sono cruciali per comprenderne l’evoluzione: la galassia più in alto del gruppo (NGC 7319) ospita un nucleo galattico attivo, un buco nero supermassiccio 24 milioni di volte la massa del Sole che emette energia luminosa equivalente a 40 miliardi di soli.



Il lancio del nuovo telescopio spaziale avvenne il giorno di Natale del 2021, dopo numerosi ritardi e rinvii causati dalla complessità del progetto, ai suoi costi esorbitanti e non ultimo alla pandemia di Covid-19; un lancio perfetto effettuato tramite l’Ariane 5 dell’ESA, che ha impresso la giusta traiettoria verso il punto lagrangiano L2 Sole-Terra a 1,5 milioni di km di distanza (si veda questo approfondimento in merito). Dopo un mese di navigazione senza intoppi, il telescopio si è posizionato in orbita attorno a L2 dove la gravità terrestre e solare si sommano al punto che il veicolo spaziale, rispetto al Sole, rimane sincrono con la Terra (si veda anche questa nostra news). L’orbita Halo, accuratamente scelta per non cadere nel cono d’ombra terrestre, è inclinata rispetto all’eclittica da cui si allontana fino a 520.000 km ed è percorsa dal telescopio ogni sei mesi con una bassa velocità orbitale (1 km/s) che lo porta a oscillare fra 250.000 e 832.000 km dal punto L2: ogni tre settimane circa, i propulsori a bordo correggono l’orbita per contrastare la pressione solare sullo scudo protettivo che, grande come un campo da tennis, mantiene il telescopio e gli strumenti scientifici in ombra. Questo enorme parasole è composto da diversi strati di Kapton: un leggerissimo materiale in grado di sopportare differenze di 270 K in totale fra i due lati, isolando l’osservatorio dalle radiazioni solari e dal rumore termico emesso dalle parti esposte. Infatti gli strumenti a bordo devono lavorare attorno ai -235°C, mentre il MIRI nel medio IR necessita di essere raffreddato a -266°C, solo 7K sopra lo zero assoluto, con un sistema criogenico a elio. La temperatura uniforme di esercizio è fondamentale per la calibrazione degli specchi durante il suo spostamento lungo l’orbita.
L’apertura totale dello strumento è di 6.5 m e raccoglie un flusso luminoso sette volte superiore a HST: la progettazione del primario è stato probabilmente uno dei passaggi più complessi (insieme al parasole), e la soluzione adottata consiste in diciotto specchi esagonali ognuno con un diametro di 132 cm che si incastrano come un puzzle. Tutti gli specchi, dal peso 20 kg ciascuno, sono fatti di Berillio, numero atomico 4, molto leggero, resistente, ottimo conduttore di calore e pertanto idoneo a lavorare a temperature prossime allo zero assoluto senza deformazioni eccessive. Una pellicola di soli 0,1 micron di oro ricopre gli specchi per migliorare la riflessione degli infrarossi. Ogni segmento dello specchio primario ha sei attuatori sul retro per la correzione di lievi variazioni di resa durante le osservazioni: l’allineamento è stato effettuato durante la fase di commissioning e calibrazione termica dello strumento, successivamente all’arrivo in L2. Lo specchio secondario, circolare convesso, ha un diametro di 64 cm ed è anch’esso controllato da sei attuatori: proietta la luce verso uno specchio terziario fisso e di forma asferica concavo (73x52 cm) che invia l’immagine priva di aberrazione all’ultimo elemento ottico della catena, il FSM (fine steering mirror): uno specchio piatto e mobile in funzione della misurazione da effettuare. Tecnicamente il JWST è un telescopio anastigmatico a tre specchi ricurvi, con rapporto focale f/20 e lunghezza focale effettiva di 131.4 m, il cui costo totale sembra abbia raggiunto la cifra di 10 miliardi $.

L’arrivo a destinazione e la manovra d’inserimento in orbita è stata così precisa che si è consumata una frazione del propellente inizialmente previsto, raddoppiando pertanto l’aspettativa di vita dell’osservatorio: almeno 10 anni, ma a causa dell’elevata distanza di L2, non sono previste missioni di manutenzione nel caso di malfunzionamenti, imprevisti o evidenti danni causati da micro-meteoriti. In questo sciagurato caso, probabilmente il JWST sarà lasciato in stand-by per valutare se e come ripararlo.
Proprio questa impossibilità di correggere eventuali errori o difetti (ricordate la “miopia” dell’HST subito dopo il lancio e le missioni Shuttle per ripararlo?), ha reso il lancio e il dispiegamento dell’osservatorio una vera sfida tecnologica: decine, centinaia di operazioni critiche si sono susseguite dal lancio, al dispiegamento del parasole, all’apertura dello specchio primario (che era stato piegato come un origami all’interno del vano carico del lanciatore), alla calibrazione degli specchi, al posizionamento delle antenne,.. fino all’inserimento in orbita Halo.. e molte di queste operazioni in sequenza non erano rimediabili in caso di fallimento.

Le prime fotografie rilasciate dalla NASA sono un gustoso anticipo di ciò che verrà: non ci resta altro che augurare lunga vita al James Webb Space Telescope e attendere con trepidazione la novità da L2.

BOLLETTINO ASTRONOMICO

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