Osservatorio Astronomico Sormano - Sormano (CO) Italy

E’ l’ora.. la giornata è tersa, le previsioni meteo confermano una robusta alta pressione per le prossime ore, l’assenza di vento e la stabilità atmosferica inducono a pensare che anche il seeing sarà buono; la Luna al primo quarto farà da trampolino di lancio per la notte osservativa, e una probabile nebbiolina a bassa quota oscurerà parzialmente le luci cittadine parassite limitando l’inquinamento luminoso. I telescopi, binocoli ed accessori impolverati da quest’eterno Autunno degli ultimi mesi, riprendono vita e la nostra eccitazione è palese: un coordinato tam tam tecnologico garantirà una cospicua presenza di astrofili. Quindi si parte per il nostro solito sito osservativo in quota (nessun premio speciale per chi intuisce quale sia questo luogo!) e si piazzano gli strumenti ben prima del tramonto: i visualisti devono dare il giusto tempo agli specchi per prendere confidenza con il nuovo ambiente, gli astrofotografici sono impegnati alla calibrazione della strumentazione, i binomaniaci si lasciano tentare da un fugace rapace e dalla contemplazione delle vette alpine,  i curiosi guardano con ironica ammirazione l’indaffarata truppa, un placido bovino assiste serafico commentando briosamente, mentre Sirio (la nostra mascotte a quattro zampe) scruta i prati alla ricerca di lepri. Ed ecco che il cielo si colora di un indaco sbalorditivo: il blu vira versa il rosso attraverso una tavolozza piena di ogni sfumatura. Le onde elettromagnetiche faticosamente emerse dalla superficie Solare qualche minuto fa, si rifrangono e riflettono nell’atmosfera cambiando frequenza di oscillazione e stimolano la nostra retina ad inviare un segnale elettrico al  cervello il quale reagisce a questa babele “musicale” assegnando un colore ad ogni “nota” (blu alle onde che vibrano più veloci, rosso a quelle più lente).



Mentre ad Ovest il cielo si infuoca, in direzione opposta si assiste ad un fenomeno tanto semplice e scontato ma spesso ignorato: che cos’è quella macchia grigio/azzurra circondata da una zona violacea che formando un arco sull’orizzonte, soprattutto a ridosso dei solstizi, riempie l’orizzonte Est fino a circa 10° in azimut? Sale il cono d’ombra della Terra, visibile due volte al giorno in direzione antisolare nelle giornate serene: elementare Watson... ma allora perchè tutti rimangono stupiti quando lo si fà osservare? Basta un orizzonte libero e guardare a levante (ponente) circa 15 minuti dopo (prima) il tramonto (alba): il fenomeno si chiama “cintura di Venere” e dimostra chiaramente la rotondità' della Terra (vedi foto scattata alla Colma di Sormano).

Gli occhi umani, l’interfaccia naturale fra l’hardware (il mondo) ed il software (la mente) diventano il protagonista della notte che si avvicina: di giorno riconoscono milioni di frequenze diverse permettendo al cervello una ricostruzione 3D a colori della realtà. Di notte volgendo lo sguardo in sù ci dobbiamo accontentare di una visione 2D in bianco e nero: mentre la perdita di una dimensione è figlia della prospettiva e delle immense distanze in fronte a noi (la distanza inter-pupillare di circa 7 cm ci permette di usare la parallasse per la visione binoculare fino a qualche decina di metri), la perdita del colore ed il ritorno ai grigi dipende dalla complessa chimica dell’occhio. I neuroni fotoricettori nella nostra retina sono infatti di due tipi: i coni concentrati nella zona centrale deputati alla visione a colori (fotopica) e i bastoncelli (20 volte più numerosi) impiegati per la visione al buio (scotopica) e dislocati nella zona periferica: questi ultimi sono sensibili alle frequenze dei 500 nm (ovvero nel verde), mentre i coni rispondono bene su tutto lo spettro visibile (ci sono 3 tipi di coni uno per ogni colore primario: Rosso, Verde, Blu). L’adattamento all’oscurità è di fondamentale importanza per recuperare la giusta sensibilità al paesaggio notturno: si devono attivare i bastoncelli e ciò dipende dalla quantità di luce a cui si è sottoposti prima e durante l'osservazione, con un tempo che può raggiungere anche i 30 minuti! Ecco perchè il passaggio di qualche auto con le luci accese in uno star party è sovente accompagnato da colorite esclamazioni non propriamente simpatiche verso l’incauto inquinatore!

La visione al telescopio rimane dunque un’osservazione in bianco e nero: le centinaia di galassie osservabili all’oculare si rivelano come fugaci fantasmi, opache visioni, batuffoli indistinti più o meno luminosi sullo sfondo nero. Le volute delle grandi galassie a spirale, le bande di polvere di quelle a taglio, le sfumature concentriche delle ellittiche diventano un delicato gioco di grigi che richiede un certo allenamento dell’occhio e della mente con l’uso della visione distolta (proprio perchè i bastoncelli sono più numerosi nella periferia della retina).

Quindi tornando alla nostra seduta osservativa, dopo aver adattato il nostro occhio all’oscurità, e mossi da genuino entusiasmo, richiamiamo l’attenzione dei presenti quando la nostra retina cattura una manciata di fotoni in viaggio da decine di milioni dei nostri anni (vedasi approfondimento sui fotoni). Chi si aspetta di osservare le galassie come viste nei libri di divulgazione astronomica non lesina sarcastici commenti o deluse esclamazioni! Purtroppo ciò è dovuto unicamente all’enorme distanza che ci separa da questi oggetti e i fotoni che ci raggiungono sono così pochi che il nostro occhio non è in grado di attivare la visione fotopica. Ma bastano pochi minuti di esposizione fotografica per osservare tutto lo splendore di queste lontane isole stellari (NGC 891 per esempio). Lo stesso dicasi per quelle magnifiche distese di immani nubi molecolari che pervadono le zone di formazione stellari: la visione al telescopio delle nebulose ricche di gas e polveri (per esempio IC 1805) è sempre assai deludente rispetto alle magnifiche foto che sono alla portata anche di un piccolo rifrattore con diametro almeno 10 volte più ampio della nostra pupilla.



Allora imperterriti, rivolgiamo l’occhio agli oggetti più vicini (astronomicamente parlando) e rimanendo entro i confini della Via Lattea, scopriamo che a volte la nostra visione diventa fotopica riuscendo a percepire debolissime sfumature di colore (nelle nebulose planetarie) ma anche accese tonalità (nelle stelle). Quando infatti il fronte d’onda dell’oggetto inquadrato è puntiforme o quasi (qualche secondo d’arco al massimo), ed è sufficientemente intenso, i fotoni che colpiscono la retina attivano i tre tipi di coni (segnale RGB) e il nostro cervello elabora il segnale formando un’immagine a colori: esempio la bellissima planetaria NGC 7662 (Blue Snowball) in Andromeda dal chiaro colore blu, oppure la NGC 6543 (Cat Eye) nel Drago, la Eschimo NGC 2392 nei Gemelli, o altre ancora (link).



In un dobson di apertura >70 cm, la leggenda (ma anche la pratica .. almeno dello scrivente) vuole che si vedano (a fatica e sotto un cielo cristallino) i colori della nebulosa di Orione, che invece mostra la sua complessa tavolozza in fotografia (M42). L’universo torna a colori quando si osservano le stelle in un telescopio amatoriale: la visione di Albireo (forse la stella più bella del firmamento) durante una sessione di cielo profondo non può mancare. Pulcherrima, gamma Andromeda, iota Cancri,.... sono decine le stelle doppie con tonalità che variano dal rosso, all’arancio, al giallo, al blu, al bianco. Anche sotto cieli sub-urbani i colori escono .. garantito.. a volte con una bella sorpresa, come nel caso di phi Cas.

Nel corso dello star party facciamo osservare ai curiosi ospiti la Stella Granata nel Cefeo: una supergigante rossa a 3’000 anni luce di distanza che ha il primato di essere la stella più grande visibile ad occhio nudo (al posto del Sole occuperebbe lo spazio fino a oltre l’orbita di Giove). Quando la osserviamo con un modesto ingrandimento spicca rispetto alle altre stelle per il suo intenso colore marrone, segnale che si trova nelle ultime fasi evolutive avendo iniziato a fondere Elio in Carbonio (sono numerose le stelle al Carbonio che meritano una sbirciatina); e poi ancora la rossa Betelguese, la bianca Rigel, l’arancio di Arturo, Antares, Castore, Polluce, Aldebaran, Capella, i septem-triones del Grande Carro, Vega.. gli ammassi stellari (Pleiadi, doppio di Perseo, Iadi ..), ogni stella orgogliosamente custodisce i suoi spettrali segreti nel colore.



Infine non possiamo congedarci senza avere sbirciato i pianeti del sistema solare: la vista all’oculare con 100÷150 ingrandimenti spezza il fiato quando Saturno, il Signore degli Anelli, mostra i suoi addobbi oppure mentre le quattro lune Medicee giocano a rimpiattino con Giove; ci ricordiamo anche di osservare la pudica Venere che non si spoglia mai dei suoi veli ed il bellicoso Marte dal classico colore rosso ruggine. I temerari osano inoltre sfidare Mercurio, il veloce messaggero degli dei che si mostra solo all’alba o al tramonto, e si cimentano alla ricerca di azzurri mondi lontani, Urano e Nettuno, giganti divinità che placidamente percorrono le loro orbite eliocentriche noncuranti dei frenetici ritmi terrestri. La nottata volge al termine e cosa resta di tutto ciò? Sicuramente la contemplazione del cielo notturno e la serenità del contatto ancestrale con la Natura, ma la sintesi ultima merita una riflessione: alcuni sparuti fotoni, provenienti dagli abissi interstelllari, dopo viaggi incommensurabili per le nostre scale temporali, si sono schiantati sul sensore di una macchina fotografica oppure sulla retina di un curioso bipede, abitante di un pianeta roccioso ai margini di una galassia a spirale, attraverso cui l’Universo sta prendendo coscienza di sè, forse per la 1° volta dopo il big bang (link)! Questa è la grande responsabilità che il fato ha consegnato al genere umano: condividerla rappresenta una missione per coloro che scrutano l’Universo per passione o per lavoro.

BOLLETTINO ASTRONOMICO

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