Osservatorio Astronomico Sormano - Sormano (CO) Italy

Guardate queste nostre due fotografie scattate qualche settimana fa: a prima vista nulla di eccezionale, sembrando questa una generica cometa di magnitudo 15 come ce ne sono sempre nel cielo notturno! Ebbene: non si tratta di una cometa: la legenda delle foto riporta che l’oggetto è infatti l’asteroide Didymos! Talvolta succede che al perielio alcuni asteoridi si attivino eiettando del materiale superficiale che forma una coda in direzione antisolare. Secondo errore: non siamo in presenza di un simile fenomeno! Ciò che abbiamo ripreso testimonia l’effetto del primo test di difesa spaziale effettuato dall’uomo nello spazio.




Probabilmente qualche anno fa, se vi avessero detto che avremmo sparato su un asteroide per deviarlo dalla sua orbita, avreste pensato a un set cinematografico, tanto più se gli attori fossero stati degli yankees americani. In realtà il 26 settembre 2022 alle 1:30 CET qualcosa di simile e’ accaduto a 14 milioni di km da noi: con una precisione degna dei migliori pistoleri western, la NASA ha fatto centro ed è riuscita a deviare la traiettoria di un corpo celeste di 120 m di diametro con una massa pari a 20 milioni di tonnellate!

Ma procediamo con ordine: l’osservazione sistematica degli oggetti celesti che si avvicinano alla Terra nacque alla fine del’900, quando anche il nostro osservatorio iniziò a occuparsi dell’argomento (vedi link). Nel corso degli anni, le scoperte di corpi minori (comete e asteroidi) crebbero in maniera esponenziale, e anche noi dell’osservatorio di Sormano, abbiamo fatto la nostra parte (vedi elenco a questo link). Nel 2022 la maggioranza delle osservazioni sono effettuate in automatico, e sono stati scoperti circa 30'000 oggetti che si avvicinano alla Terra per meno di 1,3 UA (minore di 195 milioni di km), identificati come NEO (Near Earth Object). Solo l’8% di essi sono classificati come PHO (Potential Hazard Objects), ovvero con un orbita che li avvicinano a meno di 19,5 volte la distanza Terra-Luna e con una magnitudo assoluta minore di 22 (corrispondente a un diametro di almeno 100 m): l’impatto con un PHO avrebbe effetti devastanti sulla Terra e si stima che ce siano in giro almeno il doppio rispetto a quelli effettivamente scoperti. Comunque rimaniamo tranquilli, perchè nessuno dei PHO oggi classificati rappresenta una minaccia, in quanto le loro orbite garantiscono margini di sicurezza per secoli.

Hollywood ha comunque cavalcato il sensazionalismo mediatico con blockbuster di successo in cui grandi comete o asteroidi impattano a Terra, causando enormi disastri e mettendo a repentaglio la vita o la sopravvivenza umana: del resto esistono prove certe che simili eventi siano effettivamente accaduti diverse volte durante la storia geologica del pianeta. L’umanità non ha un piano di difesa condiviso e attuabile in breve tempo nel caso di un PHO impattante: la finzione cinematografica usa bombe nucleari che potrebbero spezzare l’asteroide in frammenti che si scaglierebbero sulla Terra probabilmente a velocità ancora maggiori. Numerosi studi si basano invece sull’utilizzo di trattori gravitazionali, o di espulsione di materiale superficiale, oppure onde d’urto e/o riscaldamento con laser, e infine sugli effetti di un impatto cinetico. Tutti aventi come obiettivo una minima modifica orbitale che, eseguita anni prima dell’avvicinamento massimo dell’asteroide stesso alla Terra, ci possa dare il tempo affinché l’orbita stessa risulti deviata quanto basta. Per l’appunto, la missione DART (Double Asteroid Redirection Test) aveva uno scopo dimostrativo per verificare la fattibilità di ri-direzionare la traiettoria di un asteroide tramite impatto cinetico.
L’entità dell’impatto e la deviazione dipende da come è fatto il bersaglio; un massiccio asteroide ad alta densità è ben diverso da un poroso agglomerato roccioso: rispettivamente, l’obiettivo si puo frantumare in numerosi detriti oppure assorbire la cinetica dell’impatto come un mucchio di sabbia poco coeso.

L’asteroide Didymos (65803), scoperto nel 1996, è un NEO di tipo Apollo, ovvero con orbita avente un semiasse maggiore superiore a 1 UA e perielio inferiore a 1,07 UA (corrispondente all’afelio terrestre): con un diametro di circa 800 m, ha un orbita retrograda di 770 giorni che spazia fra la Terra e Marte, a bassa eccentricità (0,38), inclinata di 3° rispetto all’eclittica e ruota su stesso in circa 2 ore. Nel 2003 se ne scoprì la natura binaria, notando un satellite (chiamato Dimorphos) di 170 m di diametro che percorreva la sua orbita sincrona in 11 h e 55 minuti (l’utilizzo del passato è necessario!) alla distanza di 1,2 km dal baricentro comune.
Quindi riassumendo si era trovato un NEO-Apollo binario, che si avvicina fino a circa 7 milioni di km dalla Terra: uno scenario perfetto per testare gli effetti di un impatto cinetico sul corpo minore. Pertanto, oltre dieci anni fa’, NASA ed ESA pensarono a una missione robotica denominata AIDA (Asteroid Impact & Deflection Assesment), avente come obiettivo Dimorphos. Il vecchio progetto fu poi abbandonato e rimpiazzato invece da una missione più complessa di duplice natura, composta da due lanci distinti: DART e HERA (in partenza nell’ottobre 2024).



DART fu lanciato il 23 novembre 2021 con un Falcon9 di SpaceX: una piccola sonda cubica di 600 kg dotata di pannelli solari da 3.5 kW e un unico strumento scientifico: la camera DRACO montata al fuoco di un telescopio Ritchey-Chretien da 20 cm, f/13 che aveva anche il compito di pilotare la sonda verso l’obiettivo tramite uno Star Tracker automatico. A bordo c’era anche un mini-satellite, LICIA (Light Italian CubeSat for Imaging of Asteroids) sviluppato dall’Agenzia Spaziale Italiana, che si e’ separato due settimane prima dell’impatto per riprendere l’evento a 50 km di distanza con due camere: LEIA e LUKE, rispettivamente una RGB e una telecamera ad alta risoluzione.

Come già anticipato, il 26 settembre scorso, alla velocità di circa 22’500 km/h, dopo un viaggio di 10 mesi, alla distanza di circa 11 milioni di km dalla Terra, DART ha centrato il bersaglio con una precisione incredibile (un pò come colpire da Milano una moneta da 1 Euro posta a Roma). L’energia cinetica dell’impatto (circa 11 GJ: equivalente a 20 bombole di gas), sommata all’esplosione di tutto il propellente ancora a bordo, ha provocato un notevole botto su Dimorphos: la camera DRACO ha ripreso fino all’ultimo istante le immagini in avvicinamento (si veda questo video) e anche la LUKE a bordo del minicube tricolore ha fatto la sua parte riprendendo l’impatto (si veda questo articolo della NASA).
La foto allegata mostra l’ultimo fotogramma trasmesso a Terra da DART, in cui si nota il punto di impatto con dettagli superficiali di qualche cm.



Queste immagini ci raccontano come Dimorphos sia un agglomerato di rocce e sassi senza crateri d’impatto, come già visto su asteroidi simili (Ryugu, di recente avvicinato dalla sonda giapponese Hayabusa 2): mentre il corpo maggiore, Didymos, mostra una struttura leggermente più complessa dove la gravità inizia ad avere una qualche influenza. Si notano dei crateri e una forma sferica con rigonfiamento equatoriale, tipica anche di Bennu (l’asteroide visitato l’anno scorso da Osiris-Rex).

L’impatto è stato frontale nella direzione opposta al moto di rivoluzione: i primi rilievi hanno dimostrato una riduzione della velocità orbitale di Dimorphos di circa 0,7 km/h, diminuendone il raggio orbitale di 30 m e il periodo di rivoluzione di 32 ± 2 minuti (poco meno del 5%).



L’impatto è stato visto anche dagli osservatori terrestri e dai telescopi spaziali Hubble e James Webb, evidenziando l’aumento di luminosità del piccolo satellite, durato parecchie ore a causa del materiale eiettato che, per la bassa gravità, non è ricaduto al suolo; anzi le ripetute osservazioni di Hubble nelle settimane successive, hanno permesso agli scienziati di presentare un quadro più completo di come la nube di detriti del sistema si sia evoluta: gli “ejecta" si sono espansi e sbiaditi in luminosità come previsto, ma inaspettatamente, si è sviluppata una lunga coda come si osserva nelle comete e negli asteroidi attivi.



Al momento dell’impatto, Didymos era troppo basso sull’orizzonte Sud per una ripresa dal nostro osservatorio, ma appena possibile abbiamo scattato qualche immagine: la coda è ben definita sia nella foto del 3 ottobre con il 20” R/C (in cui si osserva anche la seconda coda a 120° dalla direzione del moto: l’oggetto era basso 16° sopra l’orizzonte e l’immagine è una composizione di 36 pose da 25 secondi), che nella foto del il 20 novembre con il 14” di Sormano 2 (102 pose da 90 sec.) dove è stata fatta anche una breve animazione per mostrarne il movimento relativo.



Didymos, salirà alto nel cielo invernale nelle prossime settimane (con magnitudo 16 crescente sarà possibile riprenderlo nel Cancro e poi nei Gemelli fino a primavera) e lo terremo d’occhio per osservare l’evoluzione della coda: si riassorbirà lentamente grazie alla debole gravità dell’asteroide, oppure, pur diminuendo di luminosità resterà a corredo del sistema?

In ogni caso l’appuntamento definitivo sarà a dicembre 2026, quando dopo un viaggio di 26 mesi, la missione HERA dell’Agenzia spaziale europea, scruterà da vicino quanto sia accaduto su Dimorphos, il primo oggetto nel sistema solare ad avere la sua orbita spostata dall’uomo in modo misurabile. La sonda robotica andrà a posizionarsi in orbita attorno al NEO binario, con a bordo due cube-sat (Milani e Juventas): la missione studierà il cratere provocato da DART, la morfologia e la struttura interna dei due corpi, affinando la comprensione di questo esperimento spaziale su larga scala. I suoi dati permetteranno, per la prima volta, la convalida e il perfezionamento dei modelli matematici d’impatto cinetico, rendendo questa tecnica di deflessione una forma di difesa planetaria pronta per salvaguardare la Terra.

BOLLETTINO ASTRONOMICO

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